Incipit Comedia

Libri titulus est: “Incipit Comedia Menotti Lupi, Caesaranensis natione, non moribus”

Dalla XIII Epistola a Catsgrande dello Scalino, Signore del Lacco e dei Barlitti

Incomincia la Comedia di messere Menotti Lupus di Caesaranum, ne la quale tratta de le pene e punimenti de’ vizi e de’ meriti e premi de le virtù.
Comincia il canto primo de la prima parte nel qual l’auttore fa proemio a tutta l’opera.

Prima Cantica

Canto I

Nel mezzo del cammin di nostra vita /
mi ritrovai per una piazza oscura /
ché la diritta via era smarrita. /

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura: /
paletti, dossi e metalliche fioriere storte /
che nel pensier rinovan la paura! /

Tant’è amara che poco è più morte; /
ma per trattar del ben ch’io vi trovai, /
dirò de l’altre cose ch’io v’ho scorte. /

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, /
tant’era pien di segnali a quel punto /
che la via Roma abbandonai
. /

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un arco giunto, /
là dove terminava quella piazza /
che m’avea di paura il cor compunto, /

guardai indietro e vidi con la mazza /
centauro che verso me facea meta /
menando forte finché sua preda non stramazza
. /

Allor fu la strizza poco queta, /
ché nel buco de lo retro m’era arrivata /

la liquida sostanza senza pieta. /

E come quei che con lena affannata, /
pur senza spinger, la cacarella arriva, /
si volge alla sciolta perigliosa e guata,
/

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, /
si volse a retro a rimirar lo cesso /
che non lasciò già mai persona viva. /

Allor gridai, perché mi vieni addosso? /
E lui: pur se avevi precedenza, /
a me, villan, dovevi ceder lo passo. /

Lottar non bramo né opporre resistenza, /
ma straniero sono – diss’io – e pure tonto /
Mi perdoni di questa mia imprudenza. /

Lo mio non voleva esser un affronto, /
era l’errore di un bambino, /
ma a rimediar sono già pronto. /

Temp’era dal principio del mattino, /
e cominciavan a chiazzarsi pur le ascelle /
tant’era già lo caldo mattutino /

che spandea odor di cipolla con frittelle; /
sì ch’a bene sperar m’era cagione /
di evitar l’uso delle stampelle /

l’ora del tempo e la dolce stagione; /
ma non sì che paura non mi desse /
la vista che m’apparve d’un coglione. /

Questi parea che contra me venisse /
con pugno alto e con rabbiosa fame, /
sì che parea che l’aere ne tremesse.
/

Ed uno stronzo, per non dir vero letame, /
fatto di merda e di mmonnezza, /
che lo fiato suo era liquame, /

questo mi porse tanto di gravezza /
con lo etilico puzzo ch’uscia di sua bocca, /
ch’io perdei speranza di salvezza.
/

E come quei che le palle sue si tocca, /
per scaramantico ritual lo face, /
che ’n tutti suoi pensier sogna la gnocca /

e non in talamo, ma in rovente fornace /
si trova immerso, a poco a poco, /
passando da la padella in su la brace, /

tal fui io, che arrostiva in sì caldo foco, /
finché a li occhi miei si fu offerto /
chi per lungo silenzio parea fioco. /

Continua…


Commento

Le terzine su riportate, precedute da una lettera dedicatoria, sono tratte dal primo canto della prima cantica della Commedia di Menotti Lupo. L’autore, vissuto tra il 1862 e il 1934, si trova improvvisamente e inspiegabilmente proiettato nella Casarano del 2023, dove si imbatte in incontri, circostanze, personaggi ed eventi che fatica a comprendere, talora pericolosi, talora buffi, talora semplicemente strani. Egli è consapevole che il suo viaggio temporale non è frutto del caso, ma della Provvidenza, che lo ha inviato come suo profeta per riportare sulla “retta via”, ormai smarrita da tempo, i suoi concittadini del XXI secolo. Con questo spirito affronta le difficoltà che incontra lungo l’irto cammino verso la “redenzione”.
Struttura: terzine incatenate con metrica libera.

Parafrasi

Giunto a metà della mia vita
mi ritrovai in una scura piazza (piazza Indipendenza)
essendomi perso.

Ahimè, quanto è difficile da descrivere ciò che vidi:
paletti, dossi e fioriere di metallo esteticamente discutibili
tanto che, al solo ricordo, avverto la medesima paura che provai nel vederli.

La piazza è tanto angosciante che la morte lo è solo un po’ di più:
ma prima di riferire del bene che io trovai in essa,
parlerò delle altre cose che ho visto.

Non so dirvi in che modo vi giunsi,
a causa del numero di segnali stradali presenti nel punto in cui
lasciai via Roma, smarrendomi.

Ma dopo essere giunto ai piedi di un arco (tra Piazza Indipendenza e via D’Astore),
proprio dove terminava quella piazza
che mi aveva riempito il cuore di paura,

mi voltai e vidi un motociclista
venirmi incontro armato di mazza,
brandendo l’arma e agitandola come se volesse uccidere la sua preda.

In quel momento la paura fu tanta,
che i moti intestinali avvertiti
mi indussero a pensare che stessi per farmela addosso.

E come è colui che con respiro affannato,
pur senza sforzarsi oltremodo, va di corpo
e poi si volge a guardare la consistenza liquida dell’evacuazione,

allo stesso modo, l’animo mio, che era ancora in fuga,
si volse indietro a guardare il balordo
che mai, nelle sue dispute, aveva lasciato alcuno incolume.

Allora gridai: “Perché mi vieni addosso?”
Lui mi rispose: “Anche se avevi la precedenza nell’attraversare la piazza,
tu, brutto idiota, dovevi scostarti e farmi passare”.

“Non desidero lottare, né è mia intenzione opporre resistenza,
ma vorrei che considerasse che sono straniero – gli dissi – e anche un po’ stupido.
La prego di perdonarmi se sono stato irriverente”.

Quello di cui mi sono macchiato non voleva essere un affronto,
è paragonabile piuttosto all’errore di un bambino,
e comunque sono già pronto a porre rimedio allo sbaglio.

Ormai, il sole era sorto,
e le ascelle dell’energumeno cominciavano a pezzarsi,
tanto era calda quella mattina

che da esse [le ascelle] promanava un odore di cipolla con frittelle;
nonostante ciò, mi spingevano a sperare
di poter evitare l’uso delle stampelle [a causa delle fratture che avrei certamente riportato nel caso di scontro]

sia l’orario sia la bella stagione;
ma la speranza non fu tale da mettermi al sicuro dal terrore
che ebbi nel vedere un altro “gentiluomo”.

Pareva che costui venisse verso di me
sollevando il pungo con foga rabbiosa,
tanto che sembrava far tremare l’aria.

E di un’altra “personcina”, per non dire altro,
piena di ogni grande virtù,
dall’alito profumatissimo,

questi mi prostrò così tanto
con il profumino di alcooliche bevande che spargeva attorno quando parlava,
che persi completamente la speranza di venirne fuori indenne.

E così come accade a chi si tocca i gioielli di famiglia,
per scopi apotropaici,
che in ogni suo pensiero sogna belle donne

e, però, non si trova in un letto, ma in una fornace ardente,
passando, poco alla volta,
dalla padella alla brace,

allo stesso modo mi sentii io, scottandomi con fiamma così calda,
quando comparve alla mia vista
una persona che, a causa del lungo silenzio, sembrava muta…